Secondo la Corte di Cassazione (16.4.2024 n. 10204) l’imposizione fiscale dei dividendi esteri, pervenuti da alcuni Stati, violano la normativa convenzionale contro la doppia imposizione, con conseguente diritto al rimborso per la parte d’imposta estera non detratta.
Sebbene le sentenze esaminino dei casi di dividendi pervenuti dagli Stati Uniti, il contenuto normativo delle convenzioni stipulate con la Svizzera ed il Lussemburgo rendono applicabile per analogia quanto affermato dalla suprema Corte di legittimità italiana, per il diritto alla detrazione dell’imposta estera.
INDICE
L’orientamento della Corte di legittimità italiana.
Principi normativi italiani dell’imposizione dei dividendi esteri percepiti da persona fisica.
Assoggettamento dei dividendi esteri a ritenuta a titolo d’imposta.
Evoluzione della giurisprudenza in favore alla detrazione delle imposte estere.
Eliminazione della doppia imposizione e detrazione dell’imposta estera secondo il testo convenzionale.
L’orientamento della Corte di legittimità italiana.
Le sentenze (1.9.2022 n.25698 e 16.4.2024 n.10204) della Corte di Cassazione hanno riconosciuto, in capo alle persone fisiche residenti, la spettanza del credito per le imposte estere, in relazione ai dividendi esteri percepiti, secondo il diritto convenzionale con alcuni Paesi esteri, anche se la tassazione italiana avviene con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva. Anche la giurisprudenza di merito è orientata in senso conforme[1].
Principi normativi italiani dell’imposizione dei dividendi esteri percepiti da persona fisica.
La doppia imposizione di fatto è operata dalla normativa italiana in tema di dividendi esteri, percepiti da persona fisica residente non imprenditore, per i soli dividendi assoggettati a tassazione con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva, precisamente:
- i dividendi, non derivanti dalla partecipazione in società ed enti a regime fiscale privilegiato, se derivanti dal possesso di partecipazioni non qualificate;
- i dividendi, non “privilegiati”, se derivanti dal possesso di partecipazioni qualificate e percepiti dall’1.1.2018, fatte salve le situazioni in cui essi rientrano nel regime transitorio previsto dall’art. 1 co. 1006 della L. 205/20173;
- i dividendi, non “privilegiati”, percepiti da società semplici residenti, per la parte di competenza dei soci (della società semplice) di cui ai due punti precedenti. Questi sono considerati tali se provengono da società di persone e altri soggetti trasparenti non residenti, i quali sono, agli effetti della fiscalità italiana, equiparati ai soggetti IRES ai sensi dell’art. 73, co. 1 lett. d) del TUIR. Ne deriva che la tassazione dei soci destinatari, residenti, avverrà solo all’atto della percezione dei proventi, secondo il regime dei dividendi di cui agli artt. 47, 59 e 89 del TUIR (quindi, con ritenuta o imposta sostitutiva del 26% per le persone fisiche non imprenditori).
La normativa di riferimento per gli utili di fonte estera risulta alquanto articolata. Le principali fonti sono rappresentate:
- dall’art. 44 co. 2 lett. a) secondo periodo del TUIR, il quale contiene i presupposti a fronte dei quali la remunerazione degli strumenti finanziari esteri è assimilata a quella delle azioni italiane, conseguentemente è soggetta al regime dei dividendi e non degli interessi attivi;
- dall’art. 47 co. 4 del TUIR, il quale prevede l’imposizione integrale dei dividendi “privilegiati” percepiti dalle persone fisiche, unitamente alle norme di salvaguardia che permettono di disapplicare tale regime di penalizzazione;
- dall’art. 47-bis del TUIR (applicabile per rinvio alla generalità dei soggetti d’imposta), il quale contiene i parametri che determinano “privilegiati” i regimi fiscali degli Stati o territori esteri;
- dall’art. 47 co. 4 e 4-bis del DPR 600/73, il quale regola il prelievo dell’imposta in entrata da parte dagli intermediari finanziari residenti, che intervengono nella riscossione dei dividendi di fonte estera;
- dall’art. 18 co. 1 del TUIR, che prevede un’imposizione sostitutiva in autoliquidazione per i dividendi di fonte estera percepiti dalle persone fisiche per i quali non vi è stato l’intervento di tali intermediari finanziari residenti;
- dall’art. 165 del TUIR, il quale contiene le condizioni a fronte delle quali le imposte estere possono essere detratte da quelle dovute in Italia sui dividendi.
Secondo la circolare dell’Agenzia delle Entrate 5.3.2015 n. 9, § 5.1 di fatto, la base imponibile italiana è assunta al netto delle imposte pagate dal socio sul reddito prodotto nello Stato estero.
Assoggettamento dei dividendi esteri a ritenuta a titolo d’imposta.
Nel caso in cui intervenga l’intermediario finanziario residente per l’incasso del dividendo, ai sensi dell’art. 47 co 4 e 4-bis del DPR 600/73 la ritenuta a titolo d’imposta del 26% è operata (e versata) dallo stesso sul valore del dividendo, al netto della ritenuta effettuata dallo Stato estero.
In questa ipotesi con l’intervento dell’intermediario, un dividendo per esempio di 100.000 con una ritenuta estera convenzionale pari al 15% verrà assoggettato ad una ritenuta del 26% a titolo d’imposta solo sull’imponibile al netto di ritenuta estera, così determinato in 85.000. Pertanto, l’effettivo prelievo fiscale sarà di 37.100 (15.000+22.100) pari al 37,1%.
Nel caso in cui il contribuente non si avvalga dell’opera di un intermediario finanziario residente, il dividendo (che dovrà essere dichiarato nel quadro RM della propria dichiarazione) sarà assoggettato ad aliquota del 26% per il suo importo lordo, (secondo la prassi dell’Agenzia delle Entrate ris. 26.4.2007 n.80; risposta a interpello 21.4.2020 n.111).
In questa ipotesi, senza l’intervento dell’intermediario, con un dividendo lordo di 100.000 il prelievo fiscale effettivo sarà di 41.000 (15.000+26.000) pari al 41%, evidenziando così un palese trattamento discriminatorio rispetto ai dividendi percepiti per il tramite di un intermediario residente.
Nel caso di un prelievo da parte dello Stato estero per ritenuta superiore a quella convenzionalmente determinata in una percentuale massima, se rimborsata, tale eccedenza verrà assoggettato a tassazione.
Evoluzione della giurisprudenza in favore alla detrazione delle imposte estere.
Le sentenze citate della Corte di cassazione evidenziano la prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno, in particolare sull’art. 165 co 1 del TUIR.
Entrambi i casi, hanno ad oggetto dividendi di fonte statunitense, tassati in Italia con imposizione sostitutiva ex art. 18 del TUIR, in quanto dichiarati nel quadro RM del modello Unico Persone Fisiche. Comunque, le due sentenze affermano, in modo espresso ed inequivocabile, che l’imposta sostitutiva ha una funzione del tutto sovrapponibile alla ritenuta a titolo d’imposta di cui all’art. 27 co. 4 del DPR 600/73; con la conseguenza che la richiesta di rimborso, è legittima, non solo nel caso di dichiarazione tramite il quadro RM, ma anche se gli utili di fonte estera siano stati “canalizzati” per il tramite di un intermediario residente.
Di particolare pregio è la motivazione della sentenza 10204/2024, in cui si sottolinea che l’art. 23, paragrafo 3, della Convenzione Italia-Stati Uniti, nel legittimare il diritto allo scomputo dell’imposta estera, non pone alcun richiamo alle norme italiane in materia e, quindi, “prevale sulla normativa interna di cui all’art. 165 co. 1 del TUIR, secondo cui è invece necessario che il dividendo concorra alla formazione del reddito complessivo”.
Infatti, secondo la sentenza in oggetto:
- la previsione del citato art. 23, paragrafo 3, secondo periodo della Convenzione con gli Stati Uniti, in base alla quale “l’ammontare della deduzione (detrazione dell’imposta estera) non può eccedere la quota della predetta imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo“, opera sul “quantum” del credito e non limita quindi il diritto alla detrazione, subordinato invece al ricorrere di tre requisiti:
- percezione del reddito da parte di un residente italiano;
- inclusione del dividendo nella base imponibile del percipiente in base alla Convenzione;
- imposizione del dividendo nello Stato della fonte;
- la successiva previsione dello stesso art. 23, paragrafo 3, terzo periodo, secondo cui “tuttavia, nessuna deduzione sarà accordata ove l’elemento di reddito sia assoggettato in Italia ad imposizione mediante ritenuta a titolo di imposta su richiesta del beneficiario di detto reddito in base alla legislazione italiana“, non avrebbe senso logico se la previsione derogatoria, ovvero, la preclusione allo scomputo dell’imposta estera per i redditi assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva, fosse già insita in quella del secondo periodo, riportata nel punto precedente.
- devono ritenersi errate le argomentazioni degli uffici secondo cui le ritenute alla fonte e le imposte sostitutive non sono “imposte coperte” dalla Convenzione, al contrario dell’IRPEF. Infatti:
- nella Convenzione Italia-Stati Uniti si precisa all’art. 2, paragrafo 2, lett. a), che tra le “imposte considerate” figurano l’IRPEF, l’IRPEG (ora IRES) e l’IRAP “ancorché riscosse mediante ritenuta alla fonte” (analoga precisazione è in genere contenuta in tutti i Trattati stipulati dall’Italia);
- la stessa Convenzione precisa, all’art. 2, paragrafo 3, che essa si applicherà “anche alle imposte di natura identica o analoga che verranno istituite da uno Stato contraente dopo la data della firma della presente Convenzione in aggiunta o in sostituzione delle imposte attuali“, tra le quali dovrebbe annoverarsi anche l’imposta sostitutiva ex 18 del TUIR.
Dunque, secondo la Corte di Cassazione, per il diritto convenzionale, l’imposta sostitutiva assolve la medesima funzione della ritenuta a titolo d’imposta.
Eliminazione della doppia imposizione e detrazione dell’imposta estera secondo il testo convenzionale.
Le sentenze prendono in esame la convenzione stipulata con gli Stati Uniti; pertanto, per l’estensione interpretativa occorre verificare in altre convenzioni la presenza delle disposizioni relative agli articoli citati dalla suprema Corte.
In particolare:
l’imposta estera può essere detratta se la Convenzione, nell’articolo che disciplina l’eliminazione della doppia imposizione che si tratta normalmente dell’art. 23 (se la numerazione segue quella del modello OCSE), ha una clausola per cui il credito non spetta se il reddito è assoggettato a imposizione in Italia con ritenuta a titolo d’imposta “su richiesta del beneficiario“.
Detta formulazione conferma, con una lettura al contrario, che, nel caso di assoggettamento del reddito a ritenuta a titolo d’imposta non su richiesta del beneficiario, ma in modo obbligatorio, come avviene per i dividendi assoggettati alla ritenuta in entrata ai sensi dell’art. 27 co. 4 del DPR 600/73, l’imposta estera deve considerarsi detraibile.
La “ratio” di tali previsioni risiede nel fatto che, negli anni in cui sono stati stipulati tali Trattati, il regime naturale dei dividendi era quello dell’imposizione IRPEF, con opzione per la cedolare. Pertanto, si giustificava in un sistema nel quale:
- se la persona manteneva il regime naturale (IRPEF sul reddito complessivo, comprensivo dei dividendi), era possibile detrarre l’imposta estera;
- se, invece, optava per la cedolare (“su richiesta“, ovvero su opzione, del beneficiario), il credito era negato.
L’attuale normativa non consente alcuna scelta ed obbliga il contribuente a subire il prelievo con ritenuta a titolo d’imposta o imposta sostitutiva; indipendentemente dalla sua volontà ed è per questo motivo che le sentenze 25698/2022 e 10204/2024 sostengono la detraibilità dell’imposta pagata nell’altro Stato.
Per converso (secondo la stessa Corte di Cassazione), l’imposta estera non può essere detratta nei casi in cui, invece, la Convenzione tra l’Italia e l’altro Stato prevede che il credito non spetta se il reddito è assoggettato a imposizione in Italia con ritenuta a titolo d’imposta, non “su richiesta del beneficiario“, ma bensì “anche su richiesta del beneficiario” o “su richiesta o meno del beneficiario“. Le due sentenze affermano infatti che, laddove sia stata utilizzata tale seconda locuzione, la stessa “conferma che quando l’Italia ha inteso negare il credito d’imposta non solo nei casi in cui l’assoggettamento dell’elemento di reddito a imposta sostitutiva o a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta avvenga su richiesta del contribuente, ma anche nei casi in cui esso sia obbligatorio in base alla legge italiana, lo ha previsto espressamente“.
La convenzione stipulata dall’Italia con la Svizzera e con il Lussemburgo ed altre ottantasei permettono di richiedere il rimborso della maggior imposta in quanto il contenuto degli articoli esaminati dalle sentenze citate è conforme alla convenzione stipulata dall’Italia con gli Stati Uniti.
[1] Sentenza della C.G.T. I° Siena 11.4.2024 n.68/1/24; sentenza della C.G.T. I° Milano 3184/2024 (citata in Piazza M. “Dividendi, ritenuta svizzera detratta dall’imposta italiana”, Il Sole – 24 Ore, 2.8.2024, p. 24); sentenza della C.G.T. I° Verona 423/2023 (Ursino G. “Miliardi di euro pronti per essere rimborsati su richiesta”, Il Sole – 24 Ore, NT+ Fisco, 10.8.2024).
Articolo del Dott. Michele Gentile del 15.09.2024